martedì 27 marzo 2007

Quel grande patrimonio chiamato donna

Parlare nel terzo millennio della parità fra donne e uomini potrebbe sembrare anacronistico, purtroppo ancora oggi le nostre imprese si colorano di rosa sbiadito. Possiamo distinguere il contributo che le donne offrono al mondo produttivo su due livelli ugualmente significativi. Sul fronte della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, malgrado ci sia la diffusa convinzione che negli ultimi trent'anni siano stati fatti notevoli passi avanti, l'Istat ha stimato un ritardo attorno al 20-25%. Inoltre, esiste un ampio differenziale salariale tra uomini e donne (circa 125 euro in meno per le diplomate e oltre 200 euro per le laureate) non giustificato dai brillanti successi registrati dalle donne sia nello studio che nella fruizione culturale. La presenza femminile risulta bassa anche nelle poltrone dei Cda delle società di capitali. Secondo i dati 2005 forniti da Cerved Business Information sulle imprese in cui la proprietà è detenuta da donne o la governance è femminile, il peso delle imprese rosa sul totale dell'Emilia-Romagna è fermo al 22,6%. Le regioni in cui le imprese femminili hanno una percentuale più elevata rispetto alla media Italia sono la Basilicata (31,7%) e il Molise (33,8%) dove è molto alta la presenza di titolari donna.
Senza discutere sulla valenza politica dei suggerimenti contenuti nell'Agenda di Lisbona, è opportuno riflettere sui vantaggi economici dall'avere più donne attive nel lavoro e con ruoli di primo piano. L'investimento femminile in formazione è cresciuto negli anni più di quello maschile e la formazione è una delle leve più importanti per la crescita interna dell'impresa. La percentuale di ragazze che ottengono il diploma superiore è del 77% contro il 67% dei diciannovenni diplomati, la percentuale di quelle che raggiungono una laurea è del 23% a fronte del 17% di laureati di sesso maschile. Anche l'investimento in attività culturali è aumentato di più nel mondo femminile e la cultura rappresenta un catalizzatore di creatività per l'impresa, oltre che uno strumento di crescita individuale, una risorsa strategica per costruire capitale umano, fatto di informazioni e conoscenze, e capitale sociale, basato su relazioni, fiducia e credibilità. Le ragazze da 15 a 19 anni vanno più dei loro coetanei al cinema (87,9% contro 82%), a teatro (30,1% contro 19,3%), a musei e mostre (48,5% contro 35,5%), a concerti di musica non classica (43,8% contro 41,1%). In pochi anni annulleranno lo svantaggio tecnologico rispetto ai loro coetanei. Il ritmo di crescita dell'utilizzo di computer e Internet è stato molto forte tra le ragazze di 18-19 anni, che sono passate dal 56,1% del 2000 al 75,3% del 2003 a fronte di un aumento nei coetanei maschi dal 59,4 al 72,8. Un ultimo vantaggio a favore della presenza femminile riguarda l'affidabilità. Il microcredito ha dimostrato che la probabilità di restituzione del prestito da parte delle donne è più elevata che per gli uomini tanto da giustificare la concessione dei prestiti solo alle donne da parte della Grameen Bank, fondata da Yunus. Uno dei tratti che differenzia maschi e femmine è la spregiudicatezza: le donne mettono meglio a fuoco l'architettura della complessità, anche nelle imprese, ed è meno probabile che facciano scelte così rischiose da pregiudicare la possibilità di ripagare qualsiasi fonte di finanziamento.
Riconoscere queste ragioni economiche vuol dire capire perché le imprese che si coloreranno di rosa funzioneranno meglio.

martedì 20 marzo 2007

Il MAC, occasione da non perdere

Il modello di sviluppo economico basato sulla piccola dimensione dell'impresa mostra delle insormontabili difficoltà nella competizione internazionale e nella capacità di innovazione tecnologica. Il paradosso è che nella società odierna “nano” è il primo elemento di parole composte modernamente, da nanotecnologie a nanopublishing, da nanoelettronica a nanocomputer, ma applicato alle imprese si trasforma nel male endemico del nanismo incapace di cogliere le nuove sfide di internazionalizzazione, capitalizzazione, ricerca e innovazione.
Accrescere la dimensione delle imprese è un problema di economia reale e per prima cosa richiede progetti di investimento materiale e immateriale, motivazioni imprenditoriali e cultura di innovatività. Solo in un secondo momento implica la disponibilità di canali finanziari che forniscano alle pmi le risorse sufficienti in qualità e quantità a consentire la crescita dimensionale. Distinguere il problema economico da quello finanziario è utile in un momento storico in cui la finanza rischia di prevalere sull'industria per il semplice fatto che la prima ti può far guadagnare molto in poco tempo, la seconda ti può far guadagnare il giusto in molto tempo.
Da una recente ricerca di Prometeia commissionata da Carisbo emerge come in Emilia-Romagna ci sia più un problema di apertura al capitale di rischio, piuttosto che di solidità del tessuto industriale. Le pmi di questa regione, specie quelle delle province di Bologna, Reggio Emilia e Parma, crescono in modo più rapido rispetto alle concorrenti italiane sia nel fatturato che nella quota di esportazioni, ma manifestano ancora una debolezza nella struttura finanziaria.
Fino ad ora il finanziamento bancario è risultato poco adeguato a finanziare processi di innovazione e cambiamento, il private equity ha celato troppe paure verso le strategie di “way-out” scelte dai fondi, la quotazione in Borsa ha tracciato una via accessibile solo alle imprese mature. Nella convinzione che il capitale di rischio sia sempre più decisivo per la crescita delle pmi è nato da pochi mesi il cosiddetto Mercato Alternativo dei Capitali (MAC), un sistema di scambi organizzati, gestito da Borsa Italiana e riservato agli investitori professionali, fondato su semplicità d'accesso per le pmi e su un forte collegamento con le banche del territorio autorizzate (sponsor). Per essere “quotata” sul MAC l'impresa dovrà: essere costituita in forma di società per azioni; garantire la libera trasferibilità dei titoli avendo dematerializzato e accentrato le azioni presso il Monte Titoli; disporre dell'ultimo bilancio certificato da una società di revisione iscritta all'albo Consob; e rivolgersi ad una banca sponsor che presenterà la domanda di ammissione al MAC. La procedura richiederà un tempo massimo di sei settimane. Una volta collocata sul MAC le negoziazioni avverrano in forma d'asta telematica con periodicità settimanale. Il lotto minimo avrà un controvalore di 50 mila euro.
Perdere anche questa occasione potrebbe dare prova che il problema non risiede nelle caratteristiche tecniche degli strumenti, ma nell'incapacità culturale delle imprese di aprirsi al mercato con trasparenza e rivelare perdite e guadagni reali.

martedì 13 marzo 2007

Come ripensare la logistica

La cultura della logistica nelle piccole e medie imprese assume ancora connotati di base non adeguati all'opportunità che essa diventi in brevissimo tempo una delle driving forces dello sviluppo dell'attività economica e della coesione territoriale. Il basso livello di terziarizzazione delle funzioni logistiche e la tendenza di ricercare operatori di trasporto stradali o corrieri locali non in grado di fornire soluzioni logistiche evolute sono solo due esempi di una domanda e un'offerta logistica di tipo estremamente frammentata.
Due dati diffusi dalla Commissione Europea testimoniano quanto sia cruciale il ruolo della logistica all'interno delle imprese: il 12% dei costi totali di un'impresa sono imputati alla funzione logistica interna e il 41% dei costi logistici sono sostenuti per il trasporto merci piuttosto che il magazzinaggio, l'approvvigionamento o i servizi ai clienti. Un numero crescente di imprese comprendono le potenzialità della logistica in termini di investimento e riduzione di costo, ma sono ancora pochissime quelle che attribuiscono alla logistica e al trasporto merci un reale valore strategico per competere nel settore industriale del nuovo secolo.
Per recuperare il gap che ci separa dal modello di logistica che si va ovunque affermando e per adattarlo alle peculiarità del nostro sistema produttivo sono necessarie tre azioni.
La prima riguarda il passaggio della logistica da mera funzione aziendale a funzione territoriale in cui gli specialisti della gestione dei flussi in entrata e in uscita dall’impresa saranno affiancati dagli esperti di pianificazione pubblica della logistica e del trasporto merci. In questo senso si parla di filiera produttivo-distributivo-istituzionale-territoriale estesa poiché si amplia il concetto tradizionale della logistica dalle tematiche legate all'ottimizzazione della gestione interna ed esterna dell'impresa in relazioni a clienti e fornitori agli aspetti decisionali in materia di infrastrutture, network fisici e telematici allo scopo di creare sistemi economico-territoriali ad elevate prestazioni in grado di incoraggiare l'insediamento delle aziende e favorire lo sviluppo dell'economia regionale.
La seconda azione da intraprendere è di introdurre le tecnologie intelligenti dell'informazione e della comunicazione in grado di contribuire ad evitare ritardi nella catena logistica. Una di queste potrebbe essere l'identificazione automatica tramite frequenza radio attraverso un microchip che contiene un numero univoco universale scritto nel silicio e un'antenna che permette di ricevere e di trasmettere radiofrequenza. Questo tipo di tecnologia però presenta ancora problemi sull'interoperabilità e sulla privacy .
Ed infine l'ultima azione volge lo sguardo alla sostenibilità degli approcci logistici da ripensare perché l'inquinamento dell'aria dovuto allo spostamento delle merci è uno degli effetti più invasivi della società contemporanea. Le autostrade del mare sono una testimonianza che una logistica sostenibile non è solo indispensabile, ma può diventare economicamente vantaggiosa.
Il Premio Nobel 1998 per l'Economia Amartya Sen ha recentemente affermato che «nonostante il notevole impatto ambientale la logistica non è solo necessaria per lo sviluppo, bensì inevitabile. Prenderne atto può limitarne gli aspetti negativi e farne lo strumento per promuovere e stimolare la libertà degli uomini». Ecco perché, a maggior ragione, la logistica non deve diventare presidio assoluto delle imprese.

martedì 6 marzo 2007

Private equity
Non solo soldi

I processi della globalizzazione e della terza rivoluzione industriale, legata allo sviluppo delle nuove tecnologie, ci hanno fatto entrare nell'epoca post-fordista ed hanno portato con sé problemi nuovi con cui anche l'imprenditoria emiliano-romagnola ha delle difficoltà a confrontarsi: allargamento dei mercati e nanismo delle imprese, assetto interno delle strutture produttive, ricambio intergenerazionale. La risposta a questi tre nodi non può essere declinata solo sul piano finanziario, poiché nel post-fordismo il principale asset specifico per la creazione di valore d'impresa è il lavoro creativo e non più il capitale. Uno degli strumenti innovativi per la crescita e lo sviluppo delle pmi è quello dei fondi di private equity, sviluppati per coniugare la richiesta sia di nuovi finanziamenti che di una nuova governance con supporti professionali e relazionali capace di cambiare radicalmente il modello organizzativo delle imprese.
Il mondo del venture capital e del private equity, sviluppatosi negli Stati Uniti sin dagli anni '80 dove oggi può contare su 2.500 miliardi di dollari di capitali a disposizione (in Europa il private equity è arrivato più tardi e vale appena 500 miliardi di euro), rappresenta per le pmi un'alternativa al reperimento di mezzi finanziari tradizionali, al fine di accrescere la propria dimensione e competere sui mercati. Gli operatori di private equity e venture capital non apportano però solo capitale finanziario, ma soprattutto capitale umano. Il loro scopo è di entrare nella società attraverso l'investimento di capitale di rischio e di far crescere l'azienda grazie alla esperienza maturata nei vari settori. Gli operatori di venture capital entrano nel capitale dell'impresa attraverso operazioni di early stage finalizzate a finanziare la sperimentazione di una nuova idea (seed) e la nascita di una nuova impresa (start-up). Gli operatori di private equity, invece, entrano nel capitale di un'impresa con un ciclo di vita successivo a quello iniziale. A seconda degli obiettivi di investimento, si distinguono tre tipologie di operazioni. L'operazione di expansion è rivolta a sostenere la crescita e l'implementazione di progetti di internazionalizzazione, partnership e joint-venture in aziende già esistenti attraverso un aumento di capitale. Le altre due operazioni sono attuate per modificare l'assetto proprietario, ad esempio in vista di un passaggio intergenerazionale, e non per aumentare il capitale. Con il replacement il fondo di private equity sostituisce una parte dell'azionariato di minoranza. L'operazione di buy out permette al fondo di entrare nel capitale di rischio dell'impresa rilevando una quota di maggioranza, assumendone quindi il controllo totale.
Il dibattito sul private equity si fa ogni giorno sempre più vivo. Da un lato i misoneisti, avversi ad ogni forma di novità e innovazione, i quali sostengono che i fondi di private equity sono i “barbari” del nuovo millennio, sono già ora i veri padroni di Wall Street e solo da poco stanno determinando la geografia economica dei paesi europei. Dall'altro, invece, i filoneisti, talvolta tendenti ad approvare in modo acritico tutto ciò che costituisce novità, i quali vedono nel private equity l'unico spiraglio per far ritornare i nostri territori alla spiccata vocazione industriale.
Con tutta sincerità, “quello che verrà domani non me lo ricordo”.

martedì 27 febbraio 2007

Le nuove sfide del marketing

Il marketing nasce come funzione all'interno di un'impresa per analizzare e gestire i rapporti con il mercato. Se in origine si limitava a indurre le persone a consumare per soddisfare i propri bisogni, nel giro di pochi anni ha finito per manipolare i bisogni delle persone, moltiplicando i consumatori, creando nuovi finti bisogni e quel clima di insoddisfazione materiale tipico di una società “usa e getta”. La tendenza odierna è di far crescere la funzione del marketing in tutte le piccole e medie imprese. Aggiungere strumenti utili alle aziende è sempre un fatto positivo, purché applicati nei tempi e nei modi corretti. La necessità di ripensare al marketing deriva in primo luogo dall'opportunità di riportarlo presto alla sua concezione originaria di essere al servizio delle persone prima che dei consumatori e in secondo luogo dalla comparsa di due fenomeni nuovi troppo importanti per essere lasciati nel vago.
Il primo riguarda l'emergere della nuova figura del cittadino-consumatore critico e socialmente responsabile. Il consumatore recettore passivo delle proposte che gli vengono dal lato della produzione va cedendo il passo ad un soggetto che vuole consumare in modo critico. Con le sue decisioni di acquisto e con i suoi comportamenti il consumatore intende contribuire a costruire l'offerta dei beni e servizi di cui fa domanda sul mercato. Non gli basta più il celebrato rapporto qualità-prezzo, ma vuole sapere come quel certo bene è stato prodotto e se nel corso della produzione l'impresa ha rispettato i diritti fondamentali delle persone. A questo proposito l'economista e filosofo John Stuart Mill parlava già nell'ottocento di “sovranità del consumatore”. Recenti ricerche hanno mostrato come l'80% dei consumatori europei ha dichiarato di essere disposto a pagare un prezzo leggermente più elevato se il dippiù delle imprese dalle quali acquistano beni o servizi va a finanziare iniziative socialmente rilevanti.
Il secondo ha a che vedere con la distinzione fra qualità codificata e qualità tacita. Spostare le produzioni di beni e servizi verso una soglia più elevata di qualità è ormai noto ai più, meno chiaro è verso quale tipo di qualità. Fino ad ora il marketing si è preoccupato della qualità codificata, ovvero quella che può essere accertata anche da un soggetto terzo, mentre la sfida futura dovrà essere di migliorare la qualità tacita, ovvero quella che può essere accertata solamente dal consumatore, e di concentrasi sulle tecniche per comunicarla. Ad esempio nel mondo dei servizi bancari la qualità codificata riguarda le condizioni contrattuali sul proprio conto corrente, il tasso d'interesse di un mutuo, i servizi di corporate banking, ecc... Molta poca attenzione, invece, è rivolta alla qualità tacita che riguarda la disponibilità di essere ricevuto tempestivamente dal proprio direttore, di costruire un rapporto fiduciario con la banca, di avere una risposta adeguata alle proprie esigenze e nel modo di essere trattato dai vari operatori. Con riferimento invece al mercato dei Pc notiamo come tutti i produttori abbiano una stessa qualità codificata costruendo dei computer con le stesse specifiche tecniche, ma diverso grado di qualità tacita quando ci accorgiamo di non essere assistiti in modo decente sia nei guasti tecnici che nelle difficoltà operative.
Al momento non esistono ricette pronte per includere queste due novità all'interno del marketing, ma almeno assolviamo ad un compito fondamentale suggerito dal filosofo Bertrand Russel e cioè quello di non offrire soluzioni ma porre le domande giuste per orientare la scelte future.

martedì 20 febbraio 2007

Italia Cenerentola delle rinnovabili

Non occorre schierarsi dalla parte degli ambientalisti o degli scettici per capire che il futuro energetico del nostro pianeta è nel trovare convenienti congegni fisici e chimici per sfruttare il sole. I dati mostrano che per far fronte agli attuali consumi energetici mondiali (370 EJ nell'anno 2000) basterebbe coprire circa lo 0,1% della superficie della terra con dei congegni capaci di trasformare, col 10% di efficienza, luce e calore del sole in energia.
Oggi la superficie italiana attrezzata a pannelli solari per il riscaldamento dell'acqua domestica è 20 volte inferiore a quella della fredda Germania e 13 volte inferiore a quella della Grecia. Nel 2001 in Italia era installato solo il 7% della potenza fotovoltaica dell'Ue. Il ritardo dell'Italia non riguarda solo l'energia solare, ma in generale lo sfruttamento delle risorse rinnovabili.
In Europa la potenza eolica installata è di 40.000 MW. In Italia vi è una potenza installata di soli 870 MW che fornisce lo 0,4% della produzione nazionale di energia. Fino ad oggi la produzione di energia elettrica si è sviluppata tramite l'installazione di turbine eoliche impiantate su terra (onshore), ma negli ultimi anni la tecnologia eolica si è evoluta in modo impressionante soprattutto grazie all'apporto di alcuni scienziati giapponesi che hanno installato strutture cilindriche, simili a torri e alte qualche kilometro, ancorate a pochi metri al di sopra del mare (offshore) in grado di sfruttare le correnti ascensionali di aria calda delle zone tropicali.
Perchè in Italia le novità energetiche sul nucleare e sul carbone fanno presa, mentre le innovazioni sulle energie rinnovabili non prendono piede?
Ci sarebbe una molteplicità di cause in gioco, risulta però evidente la sproporzione fra l'uso prepotente dell'energia e la conoscenza di essa. A fronte dei grandi vantaggi è riconosciuto che le energie rinnovabili presentano anche degli svantaggi che le rendono oggi non ancora del tutto convenienti rispetto ai "bassi" prezzi dei combustibili. Ecco perché sono stati costruiti degli articolati sistemi di incentivazione attraverso cui si chiede alle pmi di diventare produttori di energia e non solo meri consumatori.
Il Ministero dell'Ambiente ha emanato il bando (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2007) per la promozione di fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e/o termica con cui concede delle agevolazioni alle pmi tramite il Mediocredito Centrale. Alle aziende che presenteranno la domanda dal prossimo 26 febbraio verrà concesso un contributo massimo in conto capitale del 50-55% per i nuovi impianti fotovoltaici e del 30% per quelli eolici, solari termici e a biomasse.
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha messo a punto proprio in questi giorni il nuovo conto energia 2007 con cui si prevede di raggiungere in dieci anni 3.000 MW di potenza installata privilegiando quegli impianti maggiormente integrati nelle superfici esterne degli edifici civili e industriali. Le tariffe incentivanti erogate per i prossimi 20 anni sono aumentate complessivamente del 10% rispetto a quelle previste dal precedente conto energia e vanno da un minimo di 0,36 euro a KWh prodotto dagli impianti non integrati e con una potenza superiore a 20 KWp ad un massimo di 0,490 euro a kWh per gli impianti integrati e con una potenza compresa fra 1 e 3 KWp. Le domande si fanno il 31 Marzo, il 30 Giugno, il 30 Settembre e il 31 Dicembre.

martedì 13 febbraio 2007

La finanza che fa crescere le pmi

Dal credito ordinario ai più sofisticati servizi di corporate banking: questa è la nuova trasformazione che dovrà guidare il rapporto tra le banche regionali e le pmi. Il sistema economico italiano è composto per lo più da pmi che sembrano non riuscire ad intraprendere un convincente percorso di crescita. Gli economisti individuano nel problema dimensionale una delle principali cause della bassa produttività e della scarsa competitività nei mercati esteri. Il "nanismo" delle imprese è certamente legato a ragioni storiche e culturali, ma sorprende la situazione di arretratezza finanziaria che non consente di avviare un processo di crescita dimensionale. Da un lato le banche dovrebbero acquisire conoscenze e competenze per offrire servizi finanziari più avanzati, dall'altro le imprese dovrebbero capire che dotarsi di una funzione finanziaria interna è un investimento.
Questo ritardo è testimoniato dal modesto ricorso ai servizi di corporate banking, che invece all'estero è l'elemento propulsivo per la crescita. Il corporate banking rappresenta l'insieme dei servizi finanziari erogati dalle banche alle imprese, da quelli tradizionali a quelli più evoluti (asset management, copertura dei rischi, ecc…). Fino ad ora le banche hanno offerto alle imprese i servizi base: l'apertura di un conto corrente, la gestione dei pagamenti e degli incassi, la custodia dei valori, l'erogazione di un prestito. Soprattutto le piccole imprese necessitano di un ampliamento dell'offerta dei servizi per affrontare le sfide competitive e di internazionalizzazione. Uno strumento che può risultare utile nelle operazioni di commercio con l'estero è quello dell'assicurazione dei crediti per l'esportazione. Il problema delle imprese italiane esportatrici quello della garanzia di ricevere il pagamento da parte dell'importatore estero e di volere liquidare in anticipo alcuni crediti commerciali. A questo proposito in Italia è presente l'Istituto pubblico per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero (SACE) che offre una copertura massima al 90% per i crediti fornitore (finanziamenti concessi all’esportatore italiano contro cessione di crediti cambializzati derivanti da contratti di fornitura all’estero con pagamento dilazionato) e al 95% per i crediti finanziari (concessi da banche italiane ed estere). Un altro strumento è rappresentato dall'emissione di bond di distretto, dove la banca acquisisce i crediti delle imprese di un distretto e contestualmente eroga un prestito bancario che verrà ripagato dalla vendita sul mercato dei titoli. Uno degli strumenti inutilizzati è l'asset management, ovvero la gestione della liquidità, che essendo estranea alla gestione operativa e caratteristica dell'impresa, non dovrebbe essere gestita sul conto corrente dell'azienda, ma in un portafoglio con un profilo di basso rischio. Il servizio più innovativo, non offerto dalle banche e poco richiesto dalle imprese, è quello relativo alla copertura dei rischi finanziari (hedging). L'obiettivo delle imprese è quello di proteggersi da tutti i rischi che incombono sulla gestione del business. La banca che offre questo tipo di servizio dovrebbe individuare i rischi più minacciosi (tassi di cambio, fluttuazione euro-dollaro, tasso di interesse variabile, ecc...) ed effettuare delle operazioni di copertura sul mercato, tipicamente dei derivati. Altri servizi di finanza mobiliare potrebbero essere annoverati all'interno del corporate banking, ma a questi sono rivolti solo i giganti.
Alcune indagini sulle scelte di finanziamento mostrano come quelle imprese che hanno superato il passaggio intergenerazionale utilizzano i servizi di corporate banking più evoluti. Investire nei giovani non è solo retorica, ma una concreta copertura dal rischio di immobilismo.

martedì 6 febbraio 2007

Come si può ridurre il costo energetico

Per assicurare un futuro all’umanità è necessario svincolarsi progressivamente dall’uso dei combustibili fossili e ottenere energia da altre fonti. Il rischio di creare danni irreparabili all’ambiente è ormai sotto gli occhi di tutti, ma le motivazioni “buoniste” e “ambientaliste” non riusciranno mai a convincere le imprese a modificare il loro disegno strategico. In primo luogo è opportuno tornare sul piano del confronto dei benefici e dei costi, presentando da un lato alcune reali alternative per migliorare l’efficienza nell’uso dell’energia, dall’altro obbligando le imprese a internalizzare i costi sociali e sanitari derivanti dall’uso dei combustibili fossili. In secondo luogo risulterà necessario che i governi intervengano con un serio schema di incentivi e disincentivi per fare in modo che risulti davvero vantaggioso ricercare ed utilizzare nuove fonti di energia alternativa. La transizione sarà lenta soprattutto per motivi tecnici ed economici: il costo relativo dei combustibili fossili rispetto alle altre energie pulite risulta ancora basso, ci sono ancora riserve considerevoli disponibili e c’è una complessa struttura operativa di miniere, pozzi, oleodotti e gasdotti difficile da sostituire anche per i molteplici interessi in gioco.
Attualmente l’unica vera fonte di energia alternativa, pulita, economica, immediata e accessibile a tutti è il risparmio energetico soprattutto nel settore produttivo. La prima sfida è quella di ridurre i consumi a parità di produzione, ma quali sono le pratiche per eliminare gli sprechi all’interno delle piccole e medie imprese? Oltre alle semplici azioni di buon senso, uno dei più importanti interventi riguarda la possibilità di introdurre dei dispositivi di stima (in fase di progettazione) e di controllo (in fase di esercizio) dei consumi di energia del sito produttivo per ottenere un rapporto sui consumi energetici dell’intero ciclo produttivo. L’obiettivo diventa di organizzare il processo per cercare di assottigliare il più possibile i punti di “picco”, dove risulta massimo il dispendio di energia, definendo gli interventi sulle strutture, sui componenti e sui materiali, che migliorano il rendimento complessivo nell'utilizzo dell'energia termica ed elettrica. Prendiamo, ad esempio, un complesso di industrie (alimentari, agro alimentari, tessili, cartarie, conciarie, del cemento, della ceramica e della chimica) con elevata incidenza di consumi termici previsti a 9-11 milioni di tep per l'anno 2010. Con gli interventi sopra indicati è realistico ottenere una riduzione dei consumi del 10%, ovvero di circa 1 milione di tep; il rendimento complessivo del ciclo dell'energia termica cresce dal 60 al 67%.
La seconda sfida è di ridurre i costi dell’approvvigionamento energetico a parità di consumi, ma attualmente può essere accolta solo dalle grandi imprese che decidono di realizzare un’onerosa struttura di energy trading per accedere direttamente alla borsa elettrica e comprare pacchetti di energia mediante sofisticati strumenti finanziari. Con il completamento delle liberalizzazioni del mercato elettrico e del gas naturale le pmi potranno beneficiare di un risparmio sulla spesa per energia fra il 15 e il 30% rispetto a quella attuale.
Il problema energetico può essere risolto solo se le imprese assumono l’energia come variabile strategica e i cittadini come stimolo per un nuovo modello di sviluppo che tenga conto delle generazioni future. L’alternativa è nella profezia di un detto saudita: “Mio padre cavalcava un cammello. Io guido un’auto. Mio figlio pilota un aereo a reazione. Suo figlio cavalcherà un cammello”.

martedì 30 gennaio 2007

L'etica d'impresa nel post-fordismo

Che la responsabilità sociale per un imprenditore debba costituire un elemento fondante per competere sul mercato è ormai noto ai più. Meno noti, invece, sono gli atti concreti di traduzione della responsabilità sociale delle imprese (rsi) nell’epoca post-fordista, caratterizzata dalla prevalenza del capitale umano su quello finanziario, ovvero del lavoro creativo sulla macchina. Gli strumenti tradizionali della rsi, dal bilancio sociale al report di sostenibilità ambientale, dalla carta dei valori al codice etico, sono ancora necessari ma non più sufficienti oggi a caratterizzare un’impresa come socialmente responsabile. Pensate soltanto che Enron e Parmalat sono state fra le prime società ad adottare internamente questi sistemi cosiddetti di social accountability.
La responsabilità sociale deve essere perseguita sul piano economico, prima ancora che su quello di equità, per incrementare la produttività dei fattori di produzione. Cercherò di giustificare quanto detto, con riferimento particolare alla rsi nei confronti di uno dei più importanti soggetti stakeholders dell’impresa, i lavoratori.
L’attività economica di un’impresa si concretizza generalmente attraverso due importanti fattori produttivi: il lavoro e il capitale (es. macchinario). A seconda delle fasi storiche e delle caratteristiche del produttore è diversa la specificità dei due fattori. Nell’epoca fordista e della società industriale il capitale costituiva l’asset specifico ed il lavoro risultava poco specializzato e quasi completamente sostituibile. In questa fase storica la responsabilità sociale è stata interpretata dagli imprenditori conferendo parte dei propri profitti ai lavoratori sotto forma di servizi. L’esempio classico è quello della realizzazione degli asili nido, delle palestre o delle mense all’interno delle imprese. Nell’epoca odierna del post-fordismo e della società della conoscenza il lavoro creativo e specializzato è diventato l’asset specifico per la creazione di valore. Le vecchie pratiche di rsi, a dir vero molto più affini alla filantropia, non bastano più e in alcuni casi non funzionano proprio. La responsabilità sociale deve essere l’elemento di innovazione per realizzare un modo nuovo di fare impresa che metta al centro dell’attenzione la persona, aumentando così la sua produttività. L’imprenditore responsabile riesce a ottenere il meglio dal lavoratore rendendolo partecipe del gioco economico, valorizzando i suoi talenti ed estrapolando la creatività anche dell’ultimo arrivato. Uno dei modi per farlo, ad esempio, è di investire nella formazione del capitale umano per smobilizzare la conoscenza “tacita”, ovvero non rivelata, perchè legata alle capacità intrinseche della persona e a quel saper fare operativo che si manifesta solo quando viene messo in atto.
Per continuare ad essere un imprenditore socialmente responsabile oggi non basta più affacciarsi sul mercato con sofisticati ornamenti di rendicontazione sociale, da cui si sono create patetiche mode culturali, o con servizi paternalistici concessi ai lavoratori perché tanto come diceva la volpe al Piccolo Principe di Saint-Exupéry «l’essenziale è invisibile agli occhi».

martedì 23 gennaio 2007

Col VoIP telefonare costerà pochissimo

Il futuro della telefonia è su internet e si chiama VoIP (Voice over Internet Protocol, ovvero la voce dell’utente viaggia sulla rete internet che la riconosce assegnandogli un indirizzo univoco chiamato IP). C’è chi non ha mai sentito parlare di VoIP, ma questa tecnologia esiste già da più di dieci anni permettendo di chiamare “quasi” gratis da casa o dall’ufficio a qualsiasi altro utente sulla linea fissa e a breve renderà possibile effettuare chiamate da e verso i cellulari a costi molto più limitati rispetto a quelli degli attuali operatori di telefonia mobile. I protagonisti di questo cambiamento sembrano essere più la generazione tra i 15 e i 30 anni che il mondo diffuso delle piccole e medie imprese che potrebbero invece arginare gli elevati costi delle bollette telefoniche.
Cerchiamo ora di capire il meccanismo di questa tecnologia, che non va confusa con la molteplicità di gadget che ci vengono propinati con interesse da parte degli operatori, un esempio tra tutti la TV sul cellulare. Il VoIP fa viaggiare la nostra voce su internet trasformandola in digitale (internet non è in grado di ospitare direttamente la nostra voce fisica), aumentando la velocità di trasmissione dei dati (essendo la linea internet, magari a banda larga, più veloce di quella telefonica normale PSTN) e diminuendo i costi necessari a trasportare la voce (chiamati costi di terminazione). Anche chi non ha mai usato il computer può telefonare tramite internet collegando uno dei moderni telefoni che supportano il VoIP direttamente al modem router adsl.
L’operatore VoIP attualmente più utilizzato nel mondo è Skype, un software utilizzato soprattutto nel PC per chiamare gratis un qualsiasi altro utente connesso in un altro PC, un telefono fisso al costo di 0,0020 euro/minuto iva inclusa sia in Italia che all’estero oppure un cellulare al costo di 0,288 euro/minuto iva inclusa. Come è evidente la tariffa verso i cellulari risulta poco conveniente e la nuova frontiera della telefonia via internet è quella di abbassare i prezzi per telefonare in mobilità. L’unica accoppiata vincente in grado di far questo è il VoIP associato ad una delle reti internet senza fili a cui il cellulare può connettersi. Queste reti, dette Wi-fi, possono essere quelle degli hot spot pubblici (che troviamo negli aeroporti, nelle stazioni, ecc.) o del futuro Wi-Max (tecnologia già applicata negli Usa che fornisce connessioni internet su lunghe distanze). Lo slogan che sta scuotendo il mercato dei cellulari è rendere “quasi” gratis sul cellulare tutto ciò che è sempre stato gratis sulla rete internet e abbattere, così, le barriere dei servizi mobili.
L’azienda VoIP certamente all’avanguardia per accordi con operatori Wi-fi è proprio Skype; l’operatore di telefonia mobile che recentemente è l’unico ad essersi aperto ad internet è Tre, mentre altri operatori continuano ad ostacolare servizi come Skype bloccando la piattaforma o il traffico; uno dei primi produttori di cellulari ad aver ospitato l’applicazione Skype è Nokia.
Nonostante possa ancora apparire una tecnologia invasiva, quella del VoIP può essere implementata a bassi costi soprattutto all’interno delle imprese. Il risparmio che si può ottenere è rilevante, ma è ancora troppo piccolo rispetto a quello che si potrebbe ottenere se non ci fossero bagarre fra i produttori di telefoni, che vorrebbero offrire sempre più servizi all’utente, e gli operatori di telefonia che vorrebbero sempre più proteggersi applicando le più alte tariffe del mondo, almeno in Italia.